Archivio mensile:giugno 2016

Rosalba Russo, la nebulosa della figura.

A leggere i giudizi critici attribuiti alle opere di Rosalba Russo, si leggono giudizi contrastanti, ma tutti in qualche modo pertinenti con le suggestioni che le opere trasmettono. Dei ritratti femminili, nei quali l’artista oltre alla tecnica riflette il massimo della suggestione, trasmessa in capo all’osservatore, si può dire molto. Ma più che di sensualità e trionfo della passione, è più logico parlare di un fascino onirico, di figure che sembrano davvero uscite da uno splendido sogno. La bellezza è stilizzata, eterea, ma presente. Rimane nei sogni, resta nell’anima. L’intimo sentore che di solito rimane nascosto, nelle opere di Rosalba Russo assurge a vita. Il dettaglio si ingrandisce, l’imperfezione risulta più chiara di prima. La forza evocativa diventa quasi tattile. Ma c’è, accanto alle figure, un percorso tecnico che porta Rosalba Russo in una posizione di ricerca continua. I cromatismi e l’uso elaborato e sapiente del colore stanno prendendo il sopravvento. L’eterea eleganza dei colori, lascia spazio ad una personale atmosfera surreale. Una ricerca artistica in continua evoluzione, quella di Rosalba Russo, che proprio per questo merita di essere seguita costantemente.

La sua personale di pittura presso il Circolo La Resilienza  di Catanzaro, quartiere Lido, organizzata dall’Associazione Noi per Voli.

AURELIO FULCINITI

Il leone di ferro ruggisce ancora

Oggi, 2 giugno 2016, ha compiuto la bella età di 93 anni. Nell’ultimo anno ha dovuto rallentare la sua attività di fabbro-artista, a causa della frattura del femore che nel febbraio dello scorso anno lo ha costretto all’operazione chirurgica e ad una lunga convalescenza. Ma il leone di ferro, alias “U Ciaciu”, all’anagrafe Saverio Rotundo, sia pure a riposo ruggisce ancora. Non lo vediamo più trasportare da solo, per le strade della città, i carretti di ferraglia che gli sono sempre serviti per creare le sue opere, da perfetto artista del riciclo, convinto con piena ragione che “l’artista è un rivoluzionario, uno che riesce a creare una cosa unica, nuova, che non c’era prima”. Se la materia dell’artista non si trasforma per mano dello stesso, a dire di Saverio, chi ci lavora sopra può essere bravo quanto vuole, però non sarà mai un artista vero.

Nell’ultimo anno, lo si è visto a qualche mostra o evento, sempre circondato da chi, in tarda età, ha iniziato a riscoprirne – o a scoprirne di sana pianta, in alcuni casi – l’indubbio talento. Ma l’estate scorsa è capitato anche di vederlo sul lungomare, con l’inseparabile bastone e lo sguardo puntato verso l’orizzonte.

È facile identificarlo come un nomade dell’Arte Contemporanea. A chi non lascia finire il concetto, sostenendo che Saverio non si è mai mosso dalla propria città, bisogna sempre rispondere che lui in passato ha viaggiato molto, soprattutto da giovane ma anche in età matura, per raccogliere ispirazione e per diffondere la sua arte. E lo ha fatto sempre da autodidatta, anche quando si è diplomato all’Accademia di Belle Arti, dove si è distinto negli studi non per l’erudizione – che d’altronde detesta, in fondo, perché non fa parte della sua personalità – ma per l’esperienza che gli altri studenti non avevano. E non tanto per ovvi motivi anagrafici, quanto per una questione di mentalità. Chi ha sempre vissuto da artista, ha una marcia in più per insegnare, invece che per imparare.

Il nomadismo culturale di Saverio, emerge soprattutto nel rapporto che ha avuto con la sua città, per molti anni poco avvezza a giudicarlo dal punto di vista artistico e ritenendolo più che altro un fenomeno di folclore più che sottovalutato. Il suo nomadismo è emerso con la fantasia, la conoscenza del mondo e l’abilità di artista, che lo hanno portato ad elevarsi rispetto alla grande maggioranza dei concittadini, ad ampliare i propri orizzonti pur restando sempre nella stessa città e – concludendo – ad infischiarsene senza rimpianti. Qualcuno ha persino provato ad umiliarlo, ma lui, battagliero come sempre – e lo è ancora – non si è scomposto più di tanto.

Fra gli altri record, Saverio detiene quello di essere uno fra gli artisti più derubati in assoluto. Le opere che gli sono state trafugate, non si contano. Ci sono persone che lo hanno sempre snobbato, ma alla fine hanno utilizzato anche i mezzi meno leciti per ottenere una sua opera. Ad Anacapri  – dove è molto conosciuto, più come artista che come personaggio pittoresco e irriverente – gli hanno rubato un intero campionario di opere. E pure a Catanzaro, la sua città, i furti non sono mancati. Ma Saverio non ha mai denunciato nessuno. Fra le sue convinzioni ferree, ce n’è una più incrollabile di altre: l’arte appartiene a tutti. Per lui l’opera più bella non esiste, ma vale solo se piace agli altri.

Oggi, molti sostengono che la politica avrebbe dovuto conferire un riconoscimento ufficiale all’opera di un artista come “U Ciaciu”. Ma la verità è un’altra: Saverio ha sempre disprezzato la politica e tutto ciò che avesse a che fare col Potere, comunemente detto. In più occasioni, ha sostenuto che della politica non ci si può fidare, perché quando inizia ad avere a che fare con l’arte, quest’ultima ha finito di esistere. In varie occasioni, ha raccontato che il primo a suggerirgli ciò fu nientemeno che il Principe Antonio De Curtis, il grande Totò, durante un viaggio in treno fra Napoli e Milano, nel periodo immediatamente successivo alla Seconda Guerra Mondiale. “Mai prendere nulla con loro, neanche un caffè”, fu il saggio consiglio di Totò. E dopo oltre settant’anni, Saverio è rimasto sempre della stessa idea. Qualche politico o amministratore locale gli si è avvicinato con intenzioni lodevoli, ma “U Ciaciu” ha accolto la situazione con assoluto distacco. E ha fatto bene, visto che alle tante buone intenzioni, a lungo andare è seguito solo parecchio fumo.

E oggi Saverio sta sempre lì, gagliardo come sempre, ad osservare e – chissà – pure a trarre ispirazione per qualche nuova opera.

Auguri, vecchio leone di ferro battuto.

AURELIO FULCINITI  

A chi fa paura l’Arte della Gioia?

Delle recenti polemiche ne parleremo più avanti, ma per adesso corre l’obbligo di iniziare dalla “foto di copertina”. L’opera di Giorgio Bartocci “Sanguinis Effusione”, che compare su un antico palazzo all’inizio di Corso Mazzini, risalta nell’immagine in tutto il suo splendore. Il contrasto fra il murales di Bartocci e la facciata retrostante dell’antico palazzo, conservata nel suo bugnato originale e “tagliata” dal sole, è semplicemente perfetto. A molti l’opera è piaciuta, e non possiamo che essere d’accordo. A costo di suscitare ulteriori polemiche, ci teniamo a sottolineare che non risulta un contrasto così scandaloso fra “Sanguinis Effusione” e il contesto circostante. E basta osservare bene, senza preconcetti, per capire che l’opera di Bartocci non ha discrepanze. Se è di rottura, si può dire che “rompe bene”. E in tutti i sensi, direbbe qualcuno dopo il bailamme un po’ stucchevole che si è creato in questi giorni intorno all’argomento.

Il vero scandalo, semmai, è costituito dalla macchina per le fototessera che, situata in basso a destra, ha impedito a Bartocci di concludere l’opera, che se completata avrebbe un impatto visivo ancora più ampio. Ed è di questo che avrebbe dovuto occuparsi il Comitato “Tuteliamo il Centro Storico”. Un comitato dal titolo meritorio – ed essenziale, in una città dove la parte più antica è stata sistematicamente deturpata – ma che, in alcune sue componenti (non in tutte) ha peccato di una certa miopia e di un approccio all’arte chiuso a riccio ed autoreferenziale. Nelle ultime ore, ad esempio, c’è chi si sofferma sul “come mai all’improvviso sono diventati tutti esperti d’arte”. Questo significa non vivere la città, perché fra gli esponenti del Comitato ci sono anche degli artisti quotati e riconosciuti, ma anche – se ci è consentito dirlo – un po’ peccatori di presunzione. Grazie ai ragazzi di ALTrove e al Marca, in città molti giovani (e non solo) stanno iniziando ad appassionarsi all’arte ed a distinguere, con valide capacità intellettuali. Senza contare, poi, che queste iniziative sono in mano a giovani che in fatto di preparazione culturale hanno capacità da vendere. Se cercare il dialogo, per alcune associazioni facenti parte del Comitato, significa chiudersi nella torre d’avorio di biblica memoria e convincersi di avere la ragione solo dalla propria parte, allora questa città può abbuffarsi unicamente del suo grigiore. E questo non ci sta bene e non sta bene a molti. Arte significa occasioni di confronto, dialogo e sguardi fissi verso nuovi e più ampi orizzonti. Di sicuro, non vuol dire chiusura mentale. Se umiltà ci deve essere, è bene che arrivi da entrambe le parti. Ma in questo caso – e dispiace dirlo – l’umiltà è mancata proprio da chi avrebbe qualcosa da insegnare, e non da chi ha qualcosa da apprendere.

All’interno del Comitato, c’è un’associazione molto utile alla città e presieduta da un carissimo amico di chi scrive, ma che stavolta si è tuttavia piegata a guardare la situazione coi paraocchi. Un murales dipinto da un artista selezionato come sempre da ALTrove fra i più emergenti e bravi in Italia e all’Estero, non può essere minimamente paragonato a chi scrive inutili e osceni scarabocchi sul muro con la bomboletta spray. Non si può mischiare arte e robaccia nello stesso calderone. I graffiti senza senso e le scritte senza vergogna appartengono alle indegnità da cancellare, per il decoro del Centro Storico. Ma il murales di Bartocci, con tutto il rispetto per le diverse opinioni, è un’opera d’arte. I ragazzi di ALTrove non sono degli inesperti e sanno dove collocare le opere, studiando bene le “location” e il contesto. Se dei giovani costruiscono un progetto culturale duraturo per la propria città, è perché la amano. E mai la distruggerebbero, visto che ci hanno già pensato in maniera abbondante le generazioni precedenti. E per questo vanno supportati con le azioni e col dialogo, nel comune sentimento di amore per la città.

Si può condividere la giustificata apprensione per le sorti del Centro Storico, massacrato da misfatti edilizi perpetrati da privati cittadini e di cui le associazioni – salvo rari casi – non si sono mai occupate, ma le chiusure mentali non portano a nulla.

Quella dei murales (e non solo, ma anche delle mostre e di tutto il lavoro di riscoperta dei tesori perduti della città) è l’Arte della Gioia, amici. Non deve fare paura ma, anzi, deve portare un po’ di aria nuova, di dialogo e di riscoperta della Storia e delle tradizioni in una città dove la lagna continua e l’insopportabile pessimismo cosmico continuano – in alcuni casi, a spadroneggiare. La città è di tutti, e non di pochi. E per questo è bene che sia vissuta in maniera diversa, più colorata e solare. Solo così il vento, già impetuoso di per sé, può soffiare nella giusta direzione.

AURELIO FULCINITI