Archivio mensile:aprile 2015

Ruggero dei Timidi, beat crooner.

A vederlo sembra arrivato direttamente dagli anni ’60. Da quel punto di vista Ruggero dei timidi è beat puro. Ed ha successo, costante. In moltissimi locali o club di tutta Italia è il personaggio del momento. Di lui qualcuno ha detto che “ha i piedi ben piantati nel reale, pur saltando volentieri in altri mondi paralleli”, o che “non le manda mai a dire”, che “non si nasconde dietro paraventi e mostra la faccia”, che è “un po’ paraculo” e finanche, azzardando, “che potrebbe essere un nuovo Beppe Grillo”. È un crooner, se vogliamo, che sembra uscito alla lontana da un complesso degli anni Sessanta come I Giganti o da un vecchio “musicarello” con i Rokes – il gruppo di Shel Shapiro – nel cui cast, se fosse vissuto in quegli anni, ci sarebbe stato alla grande. Lo hanno mischiato fra Elio e Le Storie Tese e Mal dei Primitives – quello che cantava la canzone, fra l’altro, di “Furia, cavallo del west”, fra gli Smiths, gli Squallor, i Santo California e i Dik Dik. Un borderline impacciato e nostalgico, da ascoltare.

24 aprile – 22.30 – Zoom – Marcellinara – Cz.

Eduardo Galeano, la poesia del futbol.

“Ci sono alcuni paesi e villaggi del Brasile che non hanno una chiesa, ma non ne esiste neanche uno senza un campo di calcio”. Basta questa frase per descrivere un libro come “Splendori e miserie del gioco del calcio”. Ed è sufficiente per descrivere anche il suo autore, Eduardo Galeano, mancato proprio in queste ore e che con le sue opere, in particolare “Le vene aperte dell’America Latina” è stato la vera coscienza critica e storica del suo Continente. Ma anche la coscienza poetica, avendone conosciuto ed estratto una vena fiabesca straordinaria.

Di questa vena fiabesca ne troviamo ampia traccia nel suo libro dedicato al calcio. Nelle prime pagine, l’autore si descrive addirittura, e lo fa in maniera più che significativa:Come tutti gli uruguagi, avrei voluto essere un calciatore. Giocavo benissimo, ero un fenomeno, ma soltanto di notte, mentre dormivo; durante il giorno ero il peggior scarpone che sia comparso nei campetti del mio Paese”.  Uruguay, Nazione di Galeano: 3.431.932 abitanti. Bazzecole, in confronto agli oltre 40 milioni dell’Argentina, ma in compenso ha vinto due Mondiali, due Olimpiadi e ben 15 edizioni della Coppa America. Il calcio di Galeano è quello che rimanda ai Mondiali del 1930, i primi in assoluto, che videro vincente un Uruguay con il cuore da pionieri, oltre che con la classe e l’umanità. Fu la squadra dell’attaccante Hector Castro, che perse la mano destra a tredici anni mentre lavorava da falegname, ma in compenso sapeva “cantare con i piedi” facendo gol, di cui uno proprio nella finale del 1930 all’Argentina. O Josè Leandro Andrade, mediano di colore di quell’Uruguay campione del mondo, che anni dopo morì in un ospizio, cieco e senza un soldo, quando avrebbe meritato la gloria. Eduardo Galeano è stato tutti questi suoi calciatori, ma anche l’argentino Diego Armando Maradona, che oggi lo ringrazia dicendo che è stato l’unico ad averlo capito. E solo un sudamericano che conosce la vera essenza del calcio poteva capire bene Maradona fuori dal campo di calcio.

Ma Eduardo Galeano ci ha raccontato anche di un grande del calcio brasiliano: Artur Antunes Coimbra, detto Zico. Le punizioni dal limite, come le tirava lui, non le ha tirate più nessuno. Quando andò a giocare nell’Udinese, la sua squadra stava vincendo a Marassi contro il Genoa 4-0 e il pubblico rossoblu reclamava il gol su punizione del campione brasiliano, che arrivò puntuale fra gli applausi del pubblico. In “Splendori e miserie del gioco del calcio” si narra di una rovesciata con il “colpo dello scorpione” che Zico segnò nel 1993 quando era alla fine della sua carriera e giocava in Giappone, nel Kashima. Eduardo Galeano trasformò un gol in trenta righe di poesia. “Raccontatemi questo gol”, chiedevano i ciechi.

Sudamerica, dove si racconta di tutto sul calcio. Compreso un gol su punizione, in Argentina, cosiddetto “del terremoto” perché l’esultanza del pubblico fece registrare la scossa dei sismografi di un osservatorio vicino allo stadio. E chiunque abbia frequentato gli stadi sa quanto sia complicato ottenere un’esultanza simile con un gol su punizione: dipende dalla velocità del tiro. Quel giorno doveva essere una saetta.

Galeano. E non solo.

AURELIO FULCINITI

Eduardo Galeano, la poesía de Futbol.

“Hay algunas ciudades y pueblos de Brasil que no tienen una iglesia, pero no hay ni siquiera uno sin un campo de fútbol.” Sólo esta frase para describir un libro como “Esplendores y miserias del juego del fútbol.” Y es suficiente para describir incluso su autor, Eduardo Galeano, el fracaso en estas horas y que con sus obras, especialmente “Las venas abiertas de América Latina”, fue la verdadera conciencia crítica e histórica de su continente. Pero la conciencia poética, después de haberlo conocido y extraer una vena cuento extraordinario. Esta vena de cuento de hadas encontramos pista ancha en su libro dedicado al fútbol. En las primeras páginas, el autor describe, incluso, y lo hace de una forma más que significativa: “Al igual que todos los uruguayos, que quería ser futbolista. Jugué muy bien, yo era un fenómeno, pero sólo por la noche, mientras dormía; durante el día fue el peor arranque que ha aparecido en los patios de recreo de mi país “. Uruguay, País de Galeano: 3.431.932 habitantes. Bagatelas, en comparación con más de 40 millones de dólares en Argentina, pero por lo menos ganó dos campeonatos mundiales, dos Juegos Olímpicos y nada menos que 15 ediciones de la Copa América. El fútbol Galeano es lo que se refiere a la Copa del Mundo de 1930, la primera vez que vio a un Uruguay que gana con los pioneros del corazón, así como con la clase y la humanidad. Fue el atacante en equipo Héctor Castro, quien perdió su mano derecha mientras trabajaba en trece carpintero, pero al menos sabía “cantar con los pies”, haciendo goles, incluyendo uno en la final del 1930 Argentina. O José Leandro Andrade, la mediana campeón mundial quell’Uruguay color, que años más tarde murió en un hospicio, ciego y sin dinero, cuando se lo merecen gloria. Eduardo Galeano era todos estos sus jugadores, sino también de Argentina Diego Maradona, que le da las gracias diciendo hoy que fue el único que ha comprendido. Y sólo un sudamericano que conoce la verdadera esencia del fútbol podía entender Maradona fuera del campo de fútbol. Pero Eduardo Galeano nos dijo también de un gran fútbol brasileño: Artur Antunes Coimbra, dijo Zico. Castigo del borde, como él lo sacó, no ha elaborado más. Cuando fue a jugar para el Udinese, su equipo era ganar 4-0 en Marassi contra Génova y el rossoblu público reclamó el objetivo del castigo del campeón brasileño, que llegó a tiempo para el aplauso de la audiencia. En “Esplendores y miserias de fútbol” habla de una invertida con el “Scorpion shot” que Zico anotó en 1993, cuando él estaba en el final de su carrera y jugó en Japón, en Kashima. Eduardo Galeano se convirtió en un objetivo en treinta líneas de poesía. “Dime este objetivo”, preguntó el ciego. América del Sur, donde se dice todo sobre el fútbol. La inclusión de un gol en un tiro libre, en Argentina, el llamado “terremoto” porque el júbilo del público fue a registrar el impacto de sismógrafos de un observatorio cerca del estadio. Y cualquiera que haya asistido estadios saben lo complicado que es conseguir una alegría similar con un objetivo de la pena depende de la velocidad del tiro. Ese día iba a ser un rayo. Galeano. Y no sólo.

AURELIO FULCINITI

L’arroganza del Pd.

Il titolo sembrerà un po’ provocatorio, ma a chi scrive e a chi legge non importa nulla della faziosità politica, né tantomeno del fatto che l’argomento di cui stiamo per parlare sia sfruttato da una parte politica per impostare una polemica che, per quanto in qualche modo giustificata, è pur sempre interessata e a noi non interessa. La politica la ignoriamo, ci interessa solo in maniera neutra, quando incide sul territorio, sia in positivo che in negativo. Ed anche ora ragioniamo così, aggiungendovi una giustificata, ma graffiante ironia.

L’arroganza di cui si parla (che scriveremmo comunque fra virgolette se non fosse anti-estetico a livello di stile e di ortografia, vista la presenza dell’apostrofo) è riferita a un certo distacco, che risulta comunque strano e antipatico, se non effettuato in buona fede, da parte del partito di maggioranza relativa al Governo nazionale, nei confronti della città di Catanzaro, Capoluogo della Regione Calabria. Un distacco che visto da fuori sembra per lo meno antipatico, per non dire altro, se notiamo che le famose visite del premier Renzi si sono svolte a Reggio Calabria, in Prefettura e dunque in una sede istituzionale, quando l’unica sede istituzionale preposta dovrebbe essere quella di Catanzaro. Ogni tanto qualche capatina a Cosenza e dintorni, ma nel Capoluogo nulla. L’ultimo caso è stato quello del ministro Graziano Delrio, che ha incontrato i sindacati regionali a Reggio Calabria. Agli occhi degli avversari politici, ma anche di molti cittadini, è sembrato un vero sgarbo, altro che distrazione.

Senza contare quelle che agli occhi dei cittadini sembrano delle vere prese per i fondelli, ma sulle quali hanno colpe tutti gli schieramenti politici. La prima battaglia in ordine di tempo è stata quella del “trasferimento” della Sede Regionale della Motorizzazione civile a Reggio Calabria. In realtà è a Reggio da più dieci anni, dopo essere stata trasferita da Catanzaro a Cosenza e infine sulla sponda calabrese. I politici dov’erano, nel 2000, quando si decise questa spoliazione? Silenti, come quasi sempre accade. In merito, su questo trasferimento, abbiamo ascoltato numerose voci di vari esponenti politici, ma di fatti non ne abbiamo ancora visti. E l’ennesimo sgarbo istituzionale si è consumato. E però ne mancava un altro, che è arrivato puntuale: con lo “jobs act” saranno istituite nuove strutture, tra cui l’Agenzia unica regionale per le ispezioni sul lavoro. Con due sedi: Reggio Calabria e Cosenza. Uhm, Cosenza che c’entra? Ma a ben vedere c’è da sottolineare un’altra cosa: dove erano i politici del caso quando il Governo Berlusconi trasferì la Direzione Regionale del Lavoro a Reggio Calabria, creando ad arte un cavillo che ne stabiliva la presenza sullo Stretto grazie alla sede di Corte D’Appello? Anche allora, tutti assenti, a dimostrazione del fatto che in pochi possono lanciare la prima pietra.

E, per concludere, una domanda innocua: questo Pd è davvero arrogante o è soltanto distratto?

AURELIO FULCINITI