Archivio mensile:dicembre 2017

F for Fake – F come Falso.

Il titolo è molto evocativo e si riallaccia alla stretta attualità e ad un riferimento cinematografico ben preciso e più da cinefili, ma ben calato nella realtà di oggi per la stretta attinenza di alcuni contenuti con essa. E anche l’immagine che accompagna ciò che state per leggere, sia pure estrema, è ben pertinente con lo state reale delle cose.

Stiamo parlando di un argomento estremo, e dunque le immagini, i riferimenti e soprattutto il testo non possono che essere altresì estremi, netti e reali.

Il titolo prende in prestito il titolo dall’omonimo documentario di Orson Welles del 1973, dedicato ai falsi e ai falsari, nella letteratura come nell’arte. Il film si apre con una citazione di Welles che ci permettiamo di prendere come un punto di riferimento per gli argomenti che andiamo a trattare: “Questo è un film che parla di raggiri, di frodi. E anche di bugie. Raccontate davanti a un caminetto, in una grande piazza o in un film, quasi tutte le storie più o meno celano una qualche menzogna”. Dall’autore di “Quarto Potere”, film capolavoro della storia del cinema che ha aperto per primo gli occhi sulla stampa e sui suoi meccanismi, a volte persino perversi, non poteva che arrivarci un assist perfetto per introdurre il discorso. E un altro assist ci arriva da uno dei falsari citati nel documentario, quello letterario, vale a dire Clifford Irving, lo scrittore statunitense che in quegli anni riuscì a far passare per vera un’intervista ad Howard Hughes, lo stravagante miliardario americano interpretato anni dopo sullo schermo da Leonardo Di Caprio in “The Aviator”.
L’intervista passò per vera fino a quando Irving non venne sbugiardato da Hughes stesso.

E giacché l’argomento è ormai fissato e gli assist sono di prim’ordine per farci capire la potenza universale del raggiro, non si può che parlare di “Fake News” e della deviazione malata dell’informazione che sballotta e disorienta il lettore del web, manovrandolo spesso come l’immagine sopra il titolo suggerisce in maniera assai efficace.

In un panorama politico plumbeo come quello attuale, pieno di mezze figure e attualmente a vuoto di argomenti, è prevedibile che le deviazioni non ortodosse della “Galassia Gutenberg” del Terzo Millennio – trasferita dalla carta stampata al web – suscitino polemica in ambiti che non siano quello stretto dalla libertà di stampa garantita dalla Costituzione e offerta o trasmessa al Cittadino. Questo “interesse” non dovrebbe normale, ma quantomeno dovrebbe risultare secondario, perché è il lettore ad essere il fruitore, l’ignaro padrone e in definitiva la vittima delle “Fake News”. Se nel dominio della carta stampata era la notizia ad arrivare al lettore, oggi succede l’esatto contrario. Ed è il lettore ad arrivare alla notizia, che gli viene offerta sul web con qualsiasi tipo di forma. E così diventa l’ignaro padrone, perché può scegliere cosa leggere. Ma nei fatti non può scegliere pressoché nulla, perché mancando il supporto “fisico” della notizia (il quotidiano, il settimanale, il periodico) si trova completamente sballottato ed è fisiologicamente impossibilitato a capire, a distinguere tra una fonte e l’altra. Se un tempo un libro poteva passare tranquillamente per falso, come quello di Clifford Irving su Howard Hughes citato nel film di Orson Welles, oggi il coefficiente di falsità che circola sul web è altissimo e con percentuali preoccupanti e in forte crescita. Oggi i “pupari” dell’informazione hanno gioco molto facile e per tutta in serie di cause. Per elencarle tutte, lasciamo il compito agli studiosi e ai “guru” dei mass-media, ma da comuni lettori possiamo individuare facilmente una di queste cause: la percezione distorta e anomala dell’informazione da parte dei lettori. “Questo telegiornale andrà in onda in forma ridotta per venire incontro alle vostre capacità mentali”. È la famosa battuta con la quale Daniele Luttazzi apriva il suo Tg satirico in televisione. Sembra solo una battuta, un po’ estrema, ma oggi ci rendiamo conto che non lo è. Si tratta di una realtà inconsapevole – ma per alcuni, purtroppo, perfettamente consapevole – che coinvolge il lettore medio di oggi, quello del web. La soglia di percezione della notizia scritta (e non solo, perché anche quella parlata e scritta non si sottraggono a una certa ambiguità) si sta abbassando sempre di più, perché le persone si limitano a leggere titoli sempre più tendenziosi senza leggere gli articoli; o cascano nel tranello di un titolo offensivo o completamente falso che in realtà copre il pezzo di una testata attendibile; e ci sono migliaia di persone che, influenzate pesantemente dal catastrofismo indotto oggi dai mass media e dal web, non sono in grado di distinguere fra una testata falsa e una vera, “imboccandosi” qualsiasi scempiaggine o notizia becera che gli viene propinata, con una crescente, personale, intima percezione della verità laddove di questa non esiste neanche l’ombra. Questa è la realtà attuale, quella anticipata in vari modi ma tuttora ignorata, perché i “pupari” del Fake hanno a disposizione spazi immensi per operare e con una popolazione dove c’è persino chi non sa leggere un titolo o un articolo il lettore viene illuso di essere padrone dell’informazione globale ma nella nuda e cruda realtà si trova ad occupare il ruolo di marionetta comandata inconsciamente ma nella perniciosa auto-convinzione di essere persino nel giusto. Le soluzioni, i rimedi? Al momento la situazione pare ferma, senza sbocchi, nelle salde mani dei pupari che sguazzano sicuri nell’immensità del web. Chi fa reale informazione, seria e attendibile, può reagire a questa tendenza perniciosa, invertendola e magari proponendo un’ideale “educazione all’informazione”, tornando sia pure dopo un lungo percorso a quel clima dei tempi della carta stampata in cui secondo Indro Montanelli “il lettore è il nostro vero padrone”, ma a differenza di oggi veniva tutelato e non tradito. Lottare contro i “pupari” del web non è facile, ma una strada può essere comunque tracciata.

AURELIO FULCINITI

La leggenda dei portieri goleador.

Il gol di Alberto Brignoli da Trescore Balneario in Provincia di Bergamo, segnato al 95’ con la maglia del Benevento contro il Milan, che è valso il pareggio alla volenterosa “Strega” sannita, ci riporta da un calcio che sembrava appiattito a quel calcio fatto di episodi leggendari ma accaduti realmente e quasi impossibili da ripetere. Un episodio di quelli che, come si suole dire in questi casi, sarà raccontato a figli, nipoti e magari pronipoti. Un gol che nella sua bellezza oggettiva poteva essere segnato solo da un portiere. Lo stacco, lo scatto, il tuffo, sono quelli di un portiere. È un gol nato bello per caso. E anche il Benevento, dopo ben 14 sconfitte in cui non si e mai dato per vinto, lottando in maniera indomita anche contro Juventus e Inter e penalizzato dalla sfortuna con squadre più abbordabili, ci ha riconciliato con il calcio. Con un altro calcio, per essere precisi: quello della “Provincia” italiana, da Nord a Sud. Quello degli anni ’70, ’80 e ’90 di un secolo che anagraficamente è trascorso, ma è sempre vivo in chi seguiva il calcio da ragazzo e negli appassionati di questo sport in generale. Era il calcio dell’Ascoli, dell’Avellino, del Catanzaro, del Como, del Cesena, della Cremonese e di tante altre squadre che si misuravano con le “grandi” in maniera prudente ma senza alcun timore reverenziale, perché l’orgoglio di rappresentare il blasone di una città di provincia e la voglia di fare bella figura perché c’era un’intera tifoseria a seguirti in casa e in trasferta facevano la differenza. Onore al Benevento, dunque, perché ci dimostra oggi che c’è ancora spazio per la lotta e per l’orgoglio in un calcio di oggi popolato a volte da pusillanime e poppanti, da squadre che tirano indietro la gamba, si risparmiano e si “scansano” davanti alle “big” del campionato, con la complicità di allenatori che con la scusa del turn-over alle volte sembra quasi che si rifiutino di giocare. Il Benevento invece è la “provincia che si sveglia”. Quella sana, quella di una volta, quella di cui si sentiva davvero il bisogno anche quando non fa risultato. Non a caso, degli 11 gol segnati dai portieri nel campionato di Serie A a girone unico, dal 1929 ad oggi, ben 6 sono stati realizzati da portieri che vestivano la maglia di squadre di provincia. Perché quando stai perdendo nel tuo stadio, in Serie A, e magari contro una grande, è lo spirito garibaldino che viene fuori e spinge a lanciarsi in area di rigore e tentare il tutto per tutto, magari con il rischio di prendere gol in contropiede ma in compenso con la consapevolezza di aver dato tutto senza più nulla da perdere, davanti al grande pubblico dei propri tifosi.

E allora raccontiamola, la leggenda vera di questi portieri goleador in Serie A. Non è un racconto molto lungo, ma ogni paragrafo – c’è da giurarlo – è rimasto nella memoria degli appassionati e dei tifosi.

Il primo portiere goleador veniva dalla provincia modenese, ma i suoi più grossi exploit come rigorista li ottenne con la maglia della Juventus e della Lazio. Lucidio Srntimenti IV, così detto per distinguerlo dagli altri fratelli, tutti calciatori in vari ruoli, detto “Cochi” era nato a Bomporto (Modena) il 1° luglio 1920 ed è morto a Torino il 28 novembre 2014. Si mise in mostra con le due grandi squadre sopra citate, ma segnò il suo primo gol – il primo in assoluto in Serie A per un portiere – il 17 maggio 1942 in un Napoli-Modena 2-1, all’85’, sul risultato di 2-0 per i partenopei. La particolarità ulteriore di quel primo gol fu nell’averlo segnato al fratello maggiore, Arnaldo Sentimenti II. Passato alla Juventus, nella quarta giornata del campionato 1945-46, Girone Nord, al 90’pareggiò su rigore a Bergamo contro l’Atalanta (1-1). E alla quindicesima sbagliò un rigore contro il Milan, lasciando a Torino il risultato sul 2-2. Passato alla Lazio nel 1949, segnò il suo primo gol nel campionato 1951-52 alla sest’ultima giornata, al 61’ su rigore contro il Novara, per l’1-0 finale. Gli ultimi due gol, sempre con altrettanti penalty, li segnò nella stagione successiva. Il primo per il quarto gol della vittoria laziale a Udine (0-4) e il secondo nel turno successivo per la sconfitta casalinga (1-3) contro il Novara.

E ci vorranno più di vent’anni per trovare un nuovo portiere goleador e per giunta rigorista in Serie A. Baffoni d’ordinanza, faccia scavata, Antonio Rigamonti, nato a Carate Brianza il 5 aprile 1949, viene promosso rigorista dall’allenatore Pippo Marchioro nel Como che nella stagione 1974-75 milita in Serie B. Segna tre gol, che contribuiranno alla promozione dei lariani nella massima serie. Osvaldo Bagnoli, subentrato come allenatore a Beniamino Cancian, gli ridarà fiducia come rigorista. E Rigamonti segna 3 gol: il primo nella sconfitta esterna con il Verona per 3-2, il secondo nella vittoria casalinga col Bologna per 2-1, dove sblocca il risultato e il terzo nel pareggio contro il Milan a San Siro per 2-2.

Gli altri tre gol sono storia recente, perché in tanti ricordiamo i gol su azione (tutti di testa, peraltro) del grigio rosso Michelangelo Rampulla in Atalanta-Cremonese 1-1 del 23 febbraio 1992 e dell’amaranto Massimo Taibi in Reggina-Udinese 1-1 del 1° aprile 2001, fra l’altro su un calcio d’angolo da lui stesso conquistato. E per ultimo del già pluricitato Alberto Brignoli, finito in un club molto ristretto di cui molti portieri vorrebbero far parte.

Aurelio Fulciniti.