Archivio mensile:settembre 2021

Nuccio Loreti, l’artista popolare per eccellenza.

Le sue opere stanno facendosi conoscere almeno quanto la sua bravura nel trasformare il ferro, lavorandolo fino a plasmarlo e a farlo diventare immagine e somiglianza dei suoi pensieri, del messaggio che vuole trasmettere con lucidità e immediatezza. La sua scultura “Donna”, ormai un simbolo della città di Catanzaro, nel 2020 è sbarcata oltreoceano ed è arrivata a Los Angeles. Ed è accaduto in questo 2021 ciò che non accade a coloro che non diventano “profeti in patria”: Nuccio Loreti è diventato famoso anche nella sua città. E si è fatto in tre, come le sue opere più celebri di questa estate, fra le tante. Sono la “Pantera” in piazza Matteotti, “U Pruppu” sul Lungomare e l’Aquila in dono ai colori giallorossi. Lontano dalle fredde accademie, Nuccio Loreti è diventato quindi l’artista popolare per eccellenza. E in questa veste lo abbiamo intervistato, facendolo parlare delle sue opere in quest’estate per lui da ricordare.  

  • Com’è nata l’idea della Pantera?

“Ma sai, le idee non si nascondono, ma  a volte siamo attratti dalle figure. Da qui è nata l’idea del felino. Sono stato attratto da questa figura meravigliosa, che sicuramente ha travolto qualcosa in me. La sua linea meravigliosa, la sua eleganza, la sua straordinaria aria di un essere che sa il fatto suo, ha sprigionato in me quel dinamismo che ognuno di noi dovrebbe avere per far fronte alle avversità della vita”.

  • Ci puoi raccontare della lavorazione e di quanto è durata?

“Era il 17 dicembre 2019. Era una sera di inverno in cui mi rintanai nel mio laboratorio a scolpire l’acciaio per tirare fuori questa figura meravigliosa che mia attraeva. Bene, dopo quella sera cominciai a lavorare su quest’altra figura. E si inizia a sentire dal Tg di un virus misterioso che stava mietendo vittime. Ebbene, dopo un po’ rimanemmo tutti chiusi in casa, ed io nel mio laboratorio in quel periodo surreale. Così potei dare sfogo alla mia creatività in assoluta tranquillità, lavorando tutti i giorni, mentre i pensieri sorvolavano su quel periodo particolare che stavamo vivendo”.

  • Qual è il messaggio che possiamo trarre dall’opera?

“Qui arrivai alla conclusione che il dinamismo che usciva da questa figura meravigliosa della natura si poteva in qualche modo usarlo come forza simbolica che ognuno di noi poteva avere per superare le difficoltà che sicuramente avremmo dovuto incontrare. La completai a maggio del 2020 e dopo un anno finalmente l’ho potuta mostrare al pubblico con grande  soddisfazione e con un bel messaggio che lei portava”.

  • E come è nata l’ispirazione per U Pruppu?

“Un amico mi disse: sai, sarebbe bello fare un polipo, un “pruppo”, come attrazione turistica a Lido. Lì per lì dissi: sarà complicatissimo, con tutti quei tentacoli, ma non ho detto subito di no. Ma nello stesso tempo mi piaceva come idea. E mi sono chiesto: ma ci sarà un modo per fare i tentacoli? E mi avviai in quest’avventura”.

  • Ci puoi spiegare l’opera nella forma e nel suo significato?

“Solo il pensiero di fare un polpo mi intrigava, come se fosse una sfida con me stesso, vista la complessità dell’anatomia di quest’essere marino. E quindi mi misi a lavorarci su, ma senza una chiara idea di come poter fare i tentacoli. Ma strada facendo si risolve tutto e trovai anche il modo più semplice per fare i tentacoli, che erano la parte più difficile ma anche la più intrigante. Il significato dell’opera nasce dal fatto che il polpo è anche un essere intelligente e curioso nell’esplorare ciò che gli è intorno. E quindi ho pensato: perché non trasmettere un messaggio ambientale ed ecologista? Così l’ho posizionato su un fusto facendo sì che potesse sembrare pieno di rifiuti industriali, pericolosi. Infatti dalla posizione del polpo si nota che lui si accorge che c’è qualcosa che non va e sta per scappare via”.

  • La collocazione, peraltro nel punto più suggestivo del Lungomare, è stata una tua idea o un suggerimento?

“Ma sai, è da molto tempo che tenevo d’occhio quel posto dove abbiamo installato U Pruppu. Dentro di me pensavo: prima o poi installerò qualcosa dentro questa bella e suggestiva terrazza. Così, dopo un po’ di perplessità anche gli addetti del Comune  si sono convinti per l’installazione con grande felicità da parte mia”.

  • È un’opera su commissione o uno dei tuoi tanti progetti dedicati alla città?

“Magari fosse stata una commissione! Ne sarei stato felice. Come sempre sono progetti che voglio condividere con i miei concittadini ed arricchire così la città di nuovi aspetti culturali. Il mio pensiero è che l’opera possa lasciare una sensibilità alla nuova generazione: quella per non scappare dalla città ed emigrare. Bisogna far vedere che valiamo anche restando sul nostro territorio ed esportare il nostro prodotto restando nelle proprie origini. Il mito da sfatare è quello di chi dice che non c’è futuro”.

  • Ora passiamo all’Aquila giallorossa. Com’è nato questo capolavoro?

“L’Aquila è stata il mio primo capolavoro. È dalla riuscita di questa scultura che ho avuto la l’impegno di andare avanti e di appassionarmi allo straordinario mondo dell’arte”.

  • Cosa rappresenta per te l’Aquila?

“Come il leone è il re della giungla, così l’Aquila rappresenta altrettanto per il suo regno, che sono i cieli. Uno straordinario simbolo di assoluta predominanza, di eleganza, di forza e potenza”.

  • Può essere anche un simbolo di rinascita, di riscossa?

“Ma certamente sì. È questo che riflette la scultura: forza e rinascita. Un’Aquila battagliera che non si arrende di fronte alle difficoltà, oltre che un messaggio di resilienza, di forza e coraggio”.

Aurelio Fulciniti