Le “Aquile” di Piero Ciampi

Di legami del calcio con la musica d’autore ce ne sono tanti. E non tutti stretti. Alcuni di questi legami, poi, sono stati creati di sana pianta. Ma tutti questi “rapporti” fra musica e calcio sono legati all’abitudine, in molti stadi, di suonare un brano abbinato alla città o alla squadra. Al “Luigi Ferraris” di Marassi, a Genova, quando i rossoblù di casa giocano nel loro stadio, si intona “Creuza de Ma”, di Fabrizio De Andrè (mica male come scelta, l’album che prende il nome dalla canzone fu definito da David Byrne – leader dei Talking Heads, mica un musicista qualunque – “uno dei dieci album più importanti della scena musicale internazionale degli anni Ottanta”). Ed è una scelta azzeccata, perché De Andrè era un tifoso del Genoa e difficilmente è mai stata scritta o ascoltata una canzone in grado di esprimere un così forte senso di identità. A Crotone, invece, si sono buttati su “Il cielo è sempre più blu” di Rino Gaetano. Hanno dimenticato, però, che il grande Rino, in vita, li ha sempre più o meno snobbati, essendo in pratica molto più romano che crotonese. Anzi, qualcuno con malizia sostiene che li ha proprio “scacati”. E poi quando Rino era all’apice del successo il Crotone sgomitava nelle serie minori, dove più che cantare canzoni prima della partita c’era da soffiare nella nebbia di polvere dei campi in terra battuta, per cercare di vedere la porta avversaria. I primi a mettere un brano musicale all’ingresso della squadra in campo, invece, sono stati i tifosi del Como, negli Settanta. Ed era un pezzo che ancora oggi non ha bisogno di presentazioni: “Azzurro”. Testo di Vito Pallavicini, musica di Paolo Conte e grande successo evergreen di Adriano Celentano. E ancora oggi, a parte il titolo della canzone che coincide col colore delle maglie dei lariani, non si vede un altro legame fra il brano e la squadra. Fra un Pallavicini di Vigevano, un Conte di Asti e un Celentano milanese riconosciuto non si intravede un’affinità territoriale. Ma tant’è.

A Catanzaro, invece, avvenne un episodio ben diverso. Anzi, un connubio. Un cantautore catanzarese, romano d’adozione, schivo, già attivo fin dagli anni Sessanta, autore di testi per Nada e poi Targa Tenco nel 1992, si unì a un altro collega, altrettanto schivo, livornese e molto più famoso, per cui scrisse alcune canzoni. Il primo si chiamava Pino Pavone, il secondo Piero Ciampi. Sì, se lo conoscete già avete capito benissimo, non abbiamo sbagliato cognome. Ciampi, cantautore e poeta ramingo ed ebbro, non solo di vita. Ma geniale e anche appassionato di calcio. Essendo Pavone e Ciampi inseparabili a quel tempo, il primo era pure tifoso del Catanzaro e il grande Piero lo seguì in questa passione. Per tutto il campionato di Serie B 1975/76 Ciampi fu al seguito della squadra ed era presente a Reggio Emilia per Reggiana-Catanzaro 1-2, che sancì la promozione in Serie A dei giallorossi. E da lì nacque l’idea di creare un inno, che risuona ancora oggi al “Ceravolo”: “Aquile”. Si dice che la musica di “Aquile” è stata composta da Pino Pavone e Piero Ciampi e su questo non ci sono dubbi, perché sono tante le testimonianze dirette. Infatti il rullo di tamburi che accompagna l’inno fu un’invenzione successiva. Ma per essere più precisi abbiamo chiesto un parere a Pino Ranieri, in arte “Ulisse” che con le sue “Ombre” fu il maggiore artefice del “beat” calabrese, arrivando finanche al “Cantagiro” nel 1970. Uno bravo ancora oggi, uno che “c’era”. E aggiunge: “Ricordo che Piero Ciampi mise lo zampino anche nel testo”. Le canzoni di Ciampi le abbiamo ascoltate tante volte, molte sono stupende, e versi come “milioni di pensieri per una rete in più” e “colpite per primi, colpite più forte, chi gioca col cuore non teme la sorte” sono in linea con la sua poetica.

Tanto per far capire un po’ chi era Piero Ciampi, ne tracciamo una biografia con qualche tratto distintivo. Nato a Livorno il 28 settembre 1934, inizia a far musica e parte per il servizio militare, dove fa già parlare di sé e incontra personaggi fondamentali come il compositore e arrangiatore genovese Gianfranco Reverberi. Che tipo fosse Ciampi lo dimostra un suo “ritratto” di quel periodo: “Già di allora si ricordano le sue grandi bevute, il suo carattere che lo porta a cercare la rissa. Ma era anche un uomo e poeta affascinante che poteva suscitare solo sentimenti estremi: odio o amore. E di lui si innamora anche la figlia del comandante a cui Ciampi scrive lettere ogni giorno: neanche Cyrano de Bergerac avrebbe saputo fare di meglio”. Per il resto la sua vita fu costellata da donne fuggite, figli lontani, alcol e canzoni. Bellissime. “Tu no”, per esempio. “Tutte le carte in regola”, per dire. Oppure “Andare, camminare, lavorare” (scritta con Pino Pavone). O una sua canzone molto famosa come “Adius”, poetica e poi dissacrante, da ascoltare assolutamente. Dopo una vita di progetti mancati e di talento geniale e a volte sprecato, Ciampi muore a Roma il 19 gennaio 1980.

Piero Ciampi è stato reinterpretato, omaggiato e citato nell’ordine da Gino Paoli, Mimmo Locasciulli, Renato Zero, Toquinho, Lucio Dalla, i La Crus, Claudio Lolli, Franco Califano, Zucchero, Vinicio Capossela, Morgan, Piero Pelù, i Baustelle e Dente. Insomma, tutto il meglio assortito.

E Ciampi, come già detto, era anche un appassionato di calcio. Ma anche qui amava la passione e il talento inespresso. Un suo amico, negli anni Settanta, era il fantasista Ezio Vendrame. Lanerossi Vicenza e Napoli in A, Padova in C. Uno che rifiutò di farsi corrompere per giocare male una partita, a Padova, dicendo poi: “Avevo giocato male altre volte. E gratis”. E nella stessa partita prima di battere il calcio d’angolo si pulisce il naso con la bandierina e segna il gol vincente direttamente dal corner, alla Palanca. Uno così, insomma.

AURELIO FULCINITI

(pubblicato per la prima volta sul sito Catanzaro Live, Marzo 2014)

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